Mio padre aveva 83 anni e un tumore al polmone. Era stato ricoverato per febbre a Santa Maria Nuova. Dimesso i primi di novembre con 3 tamponi negativi. Io avevo già contattato Pallium per l’assistenza domiciliare e il giorno dopo il venerdì è arrivata la dottoressa di Pallium che ha fatto la visita e alcuni aggiustamenti alla terapia. Mio padre era in condizioni abbastanza buone; avevamo già in casa l’ossigeno. Il martedì è ricomparsa la febbre e dopo alcune indicazioni telefoniche la dottoressa ha chiesto al medico curante se era d’accordo nel fargli fare un tampone.
Il venerdì è arrivata Usca e sabato pomeriggio: tampone positivo! Ho tel alla dottoressa: domenica mattina mi ha fatto la prescrizione dei farmaci che si usano in questi casi (una calciparina, un antibiotico, il cortisone). Attraverso un mio amico, perchè io ero in casa col babbo ma in isolamento, ho avuto i farmaci e iniziato la terapia. E’ stato meglio un paio di giorni in cui si è anche alzato a mangiare. Ma poi la febbre era alta e peggiorava. Il medico curante ha chiesto l’intervento di Usca: sono venuti , gli hanno fatto, come da protocollo, la prova della saturazione senza ossigeno , facendolo camminare per un po’: la saturazione naturalmente si è abbassataa (a 67). Mi hanno detto che dovevano per forza mandarlo in ospedale. A fare? dico io. Loro: gli mettono il casco. E poi?
Il problema è farsi questa domanda: e poi. Un dottore, che sia Usca, medico curante, (nel nostro caso è stato solo Pallium) deve valutare se ci sono possibilità o no altrimenti finiscono tutti in ospedale senza familiari e con un po’ di ossigeno in più. Certo è necessario avere comunque un medico che venga a casa e continui a curare, finchè si può e quando non si può più curare aiuti a non soffrire. L’ultima settimana di mio padre non è stata affatto facile, ma la dottoressa del Pallium è venuta 3 volte: era tutta vestita e protetta, anche lei aveva paura ma ha fatto tutto quello che ha potuto: gli ha anche messo la flebo (mi ha spiegato che non ha mandato l’infermiere per dimezzare il rischio nella sua équipe, perchè sono in pochi). Quando veniva la dottoressa doveva ripresentarsi al babbo, perchè con la tuta non la riconosceva, ma poi si rassicurava.
Mio padre se n’è andato, non se n’è accorto, ma senz’altro si è accorto di essere a casa sua e con me accanto a lui.
Contano poco i numeri se non si ha chiaro quello che si deve fare. Quando si parla di assistenza domiciliare bisogna anche aggiungere che gli unici a farla sono le associazioni e forse nemmeno tutte. Pallium sì. Scrivo questa lettera per dare il mio doloroso contributo a che i programmi dei vari assessorati e regione vengano fatti con la conoscenza vera delle cose e interpellando le persone giuste.